Varianti SARS-CoV-2: il primo rapporto dell'Istituto Superiore di Sanità

Il report analizza la distribuzione delle principali varianti di SARS-CoV-2 sul territorio nazionale

È stato diffuso dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) il primo rapporto sulle varianti del virus SARS-CoV-2 circolanti in Italia e di interesse per la sanità pubblica. Tale rapporto integra l’indagine rapida svolta e pubblicata dall’ISS lo scorso aprile, che stimava la prevalenza delle varianti considerando i campioni positivi sequenziati il 20 aprile 2021.

Il nuovo report prende in esame 23.170 casi di infezione da virus SARS-CoV-2 genotipizzati tramite procedura di sequenziamento nel periodo dal 28 dicembre 2020 al 19 maggio 2021 e segnalati al Sistema di Sorveglianza Integrata COVID-19 (1,11% del totale dei casi positivi notificati).

Di questi, il 73% dei casi è riconducibile alla “variante inglese (lineage B.1.1.7), che si conferma così essere il ceppo maggiormente identificato sul territorio nazionale, e il 6% alla “variante brasiliana” (lineage P.1).

Degli altri lignaggi indagati dal Sistema di Sorveglianza, la “variante nigeriana” (B.1.525) corrisponde al 1,17% dei casi mentre le varianti “sudafricana”, “brasiliana” (lineage P.2), “inglese con mutazione E484K”, “indiana” si attestano tutte sotto il punto percentuale. Quest’ultima è risultata anche il ceppo maggiormente contratto e importato dall’estero (>50% dei casi).

Sono stati anche presentati i dati disaggregati di distribuzione delle varianti per sesso e fascia d’età: nessuna particolare differenza da riportare, se non una percentuale lievemente maggiore di casi di infezione da virus SARS-CoV-2 lignaggio P.1 nella fascia di soggetti ultranovantenni.

Va inoltre segnalato che il 18,9% dei casi genotipizzati è correlato a ceppi virali non riconducibili alle sette varianti attualmente indagate dal Sistema di Sorveglianza. In tal senso l’ISS sottolinea nel rapporto la necessità di continuare a monitorare la circolazione delle varianti del virus SARS-CoV-2 ed in particolare la presenza di mutazioni potenzialmente riconducibili ad una maggiore trasmissibilità o a meccanismi di evasione della risposta immunitaria.

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